Onorevoli Colleghi! - Il principio di autonomia e il diritto all'autodeterminazione, fondamentali nelle nostre società democratiche e liberali, contrassegnate da un pluralismo di valori, di morali e di culture, trovano il loro campo di applicazione più naturale nell'ambito delle scelte riguardanti la salute e la qualità della vita. Non a caso, il diritto di ogni persona ad accettare o rifiutare i trattamenti sanitari, proposti dai medici, è riconosciuto espressamente dall'articolo 32, secondo comma, della nostra Costituzione, secondo il quale «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».
      La Convenzione europea di Oviedo del 1997 sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, resa esecutiva dalla legge 28 marzo 2001, n. 145, ha riaffermato all'articolo 5 che qualsiasi intervento medico effettuato senza il consenso della persona deve ritenersi illecito.
      Anche il Codice di deontologia medica, nell'ultima versione del 1998, afferma all'articolo 34 che il medico «deve attenersi, nel rispetto della dignità, delle libertà e dell'indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona».
      La Chiesa cattolica sin dal 1957 (Papa Pio XII) ha affermato che «non c'è obbligo morale di usare mezzi straordinari nel caso di pazienti sofferenti gravemente o privi di sensi ad allungare la loro vita».
      Sull'argomento si sono poi avute numerose pronunce della giurisprudenza tra le quali si può citare la sentenza della

 

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corte d'assise di Firenze (n. 13 del 18 ottobre 1990), secondo la quale il rifiuto di trattamento deve essere rispettato, indipendentemente dalle valutazioni dell'operatore sanitario in merito al bene del paziente, perché «nel diritto di ciascuno di disporre lui solo della propria salute e integrità personale rientra anche il diritto di rifiutare le cure mediche; non è il riconoscimento positivo di un diritto al suicidio, ma è la riaffermazione che la salute non è un bene che può essere imposto coattivamente da altri, ma deve fondarsi esclusivamente sulla volontà dell'avente diritto, trattandosi di una scelta che riguarda la qualità della vita e che pertanto solo lui può legittimamente fare».
      A questi precetti giuridici, che si basano sul principio di autonomia e sul diritto all'autodeterminazione dell'individuo per quanto riguarda la salute e la qualità della vita, bisogna aggiungere un altro fondamento giuridico e morale: quello dell'inviolabilità della persona umana, da cui deriva il diritto all'integrità fisica e quindi la condanna di ogni invasione del proprio corpo. Un trattamento sanitario eseguito senza il consenso della persona può configurarsi appunto come un intervento invasivo sul proprio corpo, una violenta aggressione condannata anche dall'articolo 13 della nostra Costituzione.
      Pur essendo chiari i princìpi giuridici e morali, su cui si basa la libertà di scegliere le cure a cui essere o non essere sottoposti, tuttavia è evidente che tale scelta, mai comunque sindacabile, per essere veramente consapevole e razionale deve essere sorretta da una conoscenza corretta e completa delle condizioni in cui avviene e delle conseguenze che da essa deriveranno. Da qui la necessità dell'informazione che il medico deve fornire al paziente in modo adeguato alle sue capacità di comprensione e di valutazione. L'obbligo dell'informazione da parte del medico è d'altronde prescritto sia dalla già citata Convenzione di Oviedo, sempre all'articolo 5, sia dal Codice di deontologia medica all'articolo 30.
      Nonostante questo quadro di precetti che vanno dagli articoli costituzionali a quelli recenti della Convenzione di Oviedo e alle indicazioni del Codice di deontologia medica - che, riconoscendo il diritto all'autodeterminazione, impostano il rapporto medico-paziente non più secondo il vecchio paternalismo-autoritarismo, ma nello spirito di una collaborazione paritaria e di una partecipazione attiva da parte di un paziente diventato «competente» - la pratica medica, per lo più, resta ancorata al vecchio sistema e il paziente non riesce a far valere la sua volontà, subendo - spesso anche volentieri - le decisioni prese dal medico, che viene avvertito come il detentore di una competenza e di una professionalità superiori e poco comprensibili a chi è estraneo alla disciplina medica.
      Tale subordinazione diventa, poi, assoluta, quando il paziente non è più in grado di esprimere la sua volontà e di operare le sue scelte, quando cioè si trova in condizioni di incapacità naturale. In questi casi i medici, dovendo agire per quello che giudicano il bene del paziente e nello stesso tempo assolvere il loro dovere di conservare sempre e comunque la vita, sono costretti a prendersi carico da soli, o tutt'al più con il consenso dei familiari, delle gravi responsabilità inerenti alla situazione.
      Di qui la necessità di una legge che, attraverso il riconoscimento di precise facoltà e diritti della persona, consenta di rendere realmente operative le indicazioni contenute nell'articolo 32 della Costituzione.
      In particolare, per ovviare alla drastica limitazione del diritto all'autodeterminazione, la presente proposta di legge - che fa riferimento anche a indicazioni provenienti da associazioni che operano nei campi della bioetica o per il riconoscimento del diritto alla libera scelta da parte dei malati - prevede il riconoscimento giuridico dello strumento delle «dichiarazioni anticipate», altrimenti dette «testamento biologico»: uno strumento che, sebbene già riconosciuto come valido e vincolante dalla citata Convenzione di Oviedo
 

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all'articolo 9 e dal Codice di deontologia medica, all'articolo 34, non è ancora contemplato dalla legislazione italiana.
      Con le dichiarazioni anticipate ogni persona può dare disposizioni sui trattamenti sanitari cui vuole o non vuole essere sottoposta e tali disposizioni, vincolanti per il futuro a meno che non vengano revocate, rimangono valide anche nel caso in cui la persona perda la sua capacità naturale o, comunque, non sia più in grado di esprimere la sua volontà. Per rendere ancora più efficace e sicuro l'adempimento delle volontà di chi ha redatto per iscritto la sua dichiarazione di volontà, è prevista la nomina di un fiduciario, che tuteli la corretta interpretazione ed esecuzione delle volontà espresse.
      In particolare, nella presente proposta di legge, agli articoli 1 e 2, viene data una completa ed esauriente disciplina del cosiddetto «consenso informato», che come si è accennato viene spesso ridotto, nella pratica, alla presentazione di un documento «prefabbricato» da far sottoscrivere frettolosamente, senza alcun impegno da parte dei sanitari a fornire informazioni esaurienti e comprensibili circa la natura e il significato dei trattamenti proposti, le loro conseguenze e alternative e senza - soprattutto - essersi curati di verificare che alla sottoscrizione corrisponda una effettiva comprensione da parte del paziente delle informazioni fornite.
      All'articolo 3 viene dato riconoscimento giuridico alle dichiarazioni anticipate, compilate senza particolari formalità salvo la sottoscrizione da parte di due testimoni fidefacenti e quindi senza l'obbligo della autentica notarile; dichiarazioni che rimangono valide e vincolanti per i medici anche in caso di perdita successiva della capacità naturale.
      Tali dichiarazioni, che in caso di ricovero ospedaliero devono essere allegate alla cartella clinica del paziente, possono contenere anche la nomina di un fiduciario abilitato a curarne l'osservanza in caso di incapacità del firmatario e possono essere depositate in copia presso l'associazione cui aderisce l'interessato, la quale ha la facoltà di presentarle ai sanitari in caso di impedimento ad esibire l'originale da parte della persona stessa o del suo fiduciario.
      Le dichiarazioni anticipate possono ovviamente essere sempre revocate o modificate dal loro autore, con annotazione sulla cartella clinica.
      Nel caso, poi, che una persona si trovi in stato di incapacità naturale, valutato irreversibile sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, e nelle dichiarazioni formulate ai sensi dell'articolo 3 non abbia nominato un fiduciario, all'articolo 4 si prevede la possibilità - da parte dell'associazione presso la quale sono state depositate le stesse dichiarazioni ovvero di chiunque sia venuto a conoscenza dello stato di incapacità - di rivolgersi al giudice tutelare, per chiedere la nomina di un fiduciario.
      Con l'articolo 5 viene infine disciplinata l'ipotesi di una possibile divergenza tra le decisioni del fiduciario (nominato ai sensi dell'articolo 3, comma 2, ovvero dell'articolo 4) e le proposte dei curanti. In tal caso viene prevista la possibilità di presentare senza formalità, da parte dei soggetti in conflitto o di chiunque vi abbia interesse, un ricorso al giudice del luogo ove ha dimora l'incapace. Il giudice, quando siano state presentate le dichiarazioni di cui all'articolo 3, decide in conformità alle stesse.
 

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